Lo studio di Via Watt a Milano.

Cosentino ha aperto lo studio di via Watt nel 1970, quando è tornato a Milano, dopo gli anni di Intra. Da allora ha sempre lavorato lì.

“Passati attraverso il piccolo portone d’ingresso ed il vestibolo, l’interno appare così inaspettato da richiamare alla mente certe architetture di Utzon in cui il rigore severo dell’esterno racchiude sovente una morbida e inattesa molteplicità di forme.

La semplice tipologia del capannone tradizionale è trasfigurata dalla crescita “spontanea” delle opere che a poco a poco negli anni ha invaso e ricoperto il locale ridisegnandolo.
Eppure niente è lasciato al caso
Cosentino ha sapientemente organizzato lo spazio in base alle necessità del suo lavoro.
Tutto si articola lungo un asse che attraversa idealmente lo studio a collegare i due poli principali della sua arte: scultura e pittura.
Da una parte lo spazio della pittura è definito dal grande tavolo di legno bianco con lʼimmancabile vaso di fiori al centro.
Dall’altro lo spazio della scultura viene rilevato dai forti basamenti di ferro e dal grande compressore. Il luogo tramite un grande portone di servizio è in diretta comunicazione con l’esterno.
Una piccola tettoia copre lo spazio aperto della scultura, qui Cosentino sbozza e lavora le pietre più grandi.
Lungo questo percorso tra pittura e scultura si trovano gli altri avvenimenti dellʼarte di Cosentino: sono i luoghi delle terrecotte, dei vetri e dellʼarte preziosa od oreficeria.
In ogni diverso spazio vengono individuati fisicamente, con un tavolo, una lampada o un semplice attrezzo i vari momenti dellʼatto creativo; dalla preparazione al suo compiersi, fino alla sua contemplazione. Ogni cosa è progettata, disegnata dallʼartista come estensione della sua arte: i tavoli di legno per le grandi sculture, sapiente equilibrio di pieni e di vuoti, le basi su cui le opere ruotano per offrire facce diverse alla luce ed ancora le lampade dalle varie forme e dimensioni.La mancanza quasi totale nellʼambiente di luce naturale e diffusa è la seconda grande sorpresa di Cosentino.
Come nella tradizione delle silenti chiese nordiche lʼilluminazione del vasto spazio è lasciata a tante piccole luci puntuali.
Lampade dal disegno semplice e funzionale, uscite dalle mani di Cosentino, illuminano e colpiscono le opere secondo i desideri del maestro e seguono il suo atto creativo.
Luce ed ombre invadono lo studio, le opere ora svaniscono appiattite sui muri bui ora, illuminate, prendono possesso dellʼarchitettura del luogo che sagomano e modificano come una più grande scultura.
Esiste un posto in tutto lo studio, nascosto agli occhi del visitatore, da cui è possibile cogliere in unʼunica immagine lo spazio.
Eʼ il “pensatoio” di Cosentino, costruito dallʼartista alto sulle opere, ma ciò che si vede da lì appartiene solo a lui.”
Paola Garbuglio 2006

“Lo studio di Gino Cosentino, in via Watt a Milano, è la sua opera più bella (dopo la via Crucis di Baranzate, a dire il vero); pullulante di figure, quadri e sculture, volumi e ombre, la sera, sotto la luce dellʼimpianto elettrico progettato e costruito (a norma?) dallʼarch. Alberto Bonardi col beneplacito di Cosentino. Spazio di molteplici armonie.”
Marcello De Carli 2006

 

Lo studio, oggi affollato di opere in pietra appartenenti alla stagione più matura e poeticamente ricca dellʼattività di Cosentino rappresentava allora (anni 70) un accogliente punto dʼincontro, un territorio neutrale nel quale ritrovarsi e ritrovare amici e conoscenti, con lo scopo dichiarato di approfittare della generosa ospitalità del Gino e della Pim, la sua compagna, per ritrovare lʼessenza di un rapporto con le cose dellʼarte la cui disponibilità nella Milano di quegli anni risultava preziosa e rara.
Mario Fosso

……, possiamo dire che il dono sommo che Cosentino ci consegna è lʼinsieme delle sue opere disposte nel suo studio; non si può immaginare un universo più concreto di quello composto dalle creazioni che dimorano nel capannone di via Watt.” 
Giorgio Fiorese

 

“Il suo studio è un seminterrato piuttosto informe, le pareti scrostate sono tinteggiate con molta approssimazione, pendono grovigli di cavi, scatole elettriche e tubi di lamiera; si mescolano ai suoi quadri e alla incredibile schiera delle sue sculture oggetti di scarto di ogni genere, eppure sembrano cantare anchʼessi assieme alle infiorescenze di pietra agli abbracci, alle forme struggenti di gesso, di legno, ai graniti picchiettati o levigati parlanti nel mostrare a nudo tutto ciò che la materia di cui sono fatti può esprimere.
Si tratta di una sterminata popolazione di forme e colori che affollano questo studio, ma lo abitano con tanta raffinata eleganza e con tale naturalezza da generare forte emozione da indurre a guardarsi intorno quasi con reverenziale esitazione, come se ci si trovasse nel mondo interiore stesso di questo artista di poche parole, affabile e ritroso.”
Alberto Bonardi

Testi estratti da interventi al seminario “Gino Cosentino e gli architetti”, tenuto presso il Politecnico di Milano, Dipartimento di Progettazione della Architettura, il 14 dicembre 2005.

Una giornata nel mio studio in via Watt

Questo bancone di lavoro era poi un piano rialzato dove i miei allievi appoggiano i loro quadri ancora, bagnati per poi portarli a termine appena più asciutti. Prendo una sedia e vado sul bancone per vedere i suddetti quadri, alle volte mi sembrano più belli dei miei e inizia così una sorta di rivalità che produce i suoi frutti nel quadro successivo.

Apro la porta; non sento nessuna emozione, il mio pensiero forse è verso la nascita della nuova scultura o del nuovo quadro, ma non è ancora il momento.

Accendo le stufe con la tecnica che ho acquisito in tanti anni… per accendere una della due stufe bisogna passare vicino una miriade di quadri che portano addosso la storia della loro nascita.

La mia mente vaga fra le diverse tecniche e quindi fruga ancora per chiarire la validità o meno di qualcuna di esse.’ Intanto raggiungo un altro angolo dello studio dove ci sono tantissimi attrezzi e qualcuno di essi ha bisogno di essere sistemato, manca il manico a un martello di ferro dolce che è molto importante quando si batte la pietra perché il ferro dolce si modifica e raccoglie la violenza dell’urto contro lo scalpello su se stesso, evitando la violenza nella pietra; in tal modo si possono scolpire le parti più delicate evitando rotture.

Gino Cosentino. Foto di Aldo Ballo, 1971

II momento di mettermi a lavorare non arriva ancora e il mio pensiero ritorna alla tecnica, mi sembra di essere assetato di vedere sotto i miei occhi quale potrebbe essere finalmente il modo di condurre iun quadro o una scultura il più possibile vicino alla poesia, mi sono accorto allora che prima di affrontare la materia è necessario un gesto di grande umiltà, è necessario cioè mettere momentaneamente a tacere la propria personalità per aiutare la materia a passare dalla scultura o dalla pittura, e come.

Esistono poche regole inesorabili che non si può fare a meno di rispettare. La scultura è il possesso dello spazio facendo armonia di vuoti e di pieni contrapposti, dirimpettai. Se si procede rispettando questa unica regola il pensiero viene da solo e il risultato è  una scultura, non un oggetto soltanto ma un pensiero poetico – una vera scultura – così abbiamo l’oggettistica e la scultura.

Si avvicina il momento di continuare a dipingere un quadro già iniziato il giorno prima. Anche per la pittura esistono delle regole: la tecnica, regole semplici ma inesorabili. Per esempio i colori complementari, gli spessori che sono diversi a seconda del colore e la composizione. Anche qui è necessario un momento di grande umiltà e mettersi a disposizione della materia (dei colori) aiutandoli a passare dalla pittura e non dall’arbitrio personale del pittore.

Gino Cosentino

Testo estratto da  Giampiero Gianazza (a cura di) “Gino Cosentino: Carte e parole. Tessere per una biografia”; Sedizioni, 2008.

Comments – 1

  • master

    on July 31, 2014 at 9:40 pm

    Queequeg and a forecastle seaman came on deck, no small excitement was created among the sharks; for immediately suspending the cutting stages over the side, and lowering three lanterns, so that they cast long gleams of light over the turbid sea, these two mariners, darting their long whaling-spades, kept up an incessant murdering of the sharks,*

    By striking the keen steel deep into their skulls, seemingly their only vital part. But in the foamy confusion of their mixed and struggling hosts, the marksmen could not always hit their mark; and this brought about new revelations of the incredible ferocity of the foe.