Cosentino disegni e sculture

Questi pensieri, frutto non di una attività letteraria ma di una cosciente riflessione che ha accompagnato gli anni delle mie ricerche plastiche nel chiuso del mio studio, credo giusto porli quale introduzione alla presentazione di alcune mie sculture non tanto perché servano di commento, quanto piuttosto quali indice di una poetica che aspiro tradurre in valori plastici.

Queste proposizioni, scarne e determinate solo da una necessità di evidenza e di essenzialità, aprono dunque il viaggio per entrare nel modo di una problematica piana che il filosofo e il letterato forse potranno giudicare ingenua, ricca però dell’esperienza di un uomo che l’arte prima di contemplarla la produce. Ed è proprio il contatto quotidiano con la materia, materia ingrata vista dal di fuori sia essa creta, gesso o pietra a suggerire un atteggiamento di spoglia evidenza.

Penso quindi che il procedere per proposizioni mi convenga di più che non il discorso più gravato da urgenze dialettiche, anche perché quando l’artista ha prodotto un’opera nei confronti del discorso che si è proposto di fare all’umanità essa tiene proprio il posto di una proposizione che non ha puro valore intrinseco, ma piuttosto in quanto è parte integrante di questo discorso, legata quindi alle opere precedenti ed alle susseguenti da un’intima dialetticità.

Nei confronti poi del mio tempo e della irrequieta ricerca che caratterizza il nostro secolo gravato di profonde responsabilità nei confronti del problema che lo investe di un rinnovamento in arte, credo meglio usare anzichè le mie parole quelle di Karl Jaspers, che si adattano perfettamente al nostro discorso:

E’ cosa tanto facile difendere appassionatamente dei giudizi belli e decisi, difficile è invece riflettere serenamente e guardare il vero da tutti i lati, senza tralasciarle nessun elemento. E’ facile interrompere la comunicazione con gli altri con asserzioni aggressive e irriducibili; difficile è invece penetrare al fondo della verità instancabilmente, al di là di ogni asserzione. E’ facile farsi una opinione qualsiasi e irrigidirsi in essa per risparmiarsi la fatica di riflettere ancora; difficile è invece avanzare passo passo, e non rifiutarsi di investigare e di cercare ancora.
Karl Jaspers

Ammessa questa esigenza di ricerca è bene precisare:
che l’arte è un modo di esprimere qualche cosa e come tale un linguaggio;
che tale linguaggio si realizza per immagini;
che l’immagine è la depurazione dell’oggetto da ogni residuo esistenziale e, come tale, realtà pura percepita dalla coscienza;
che dunque i rapporti che si stabiliscono fra l’oggetto e l’immagine sono rapporti nuovi, cioè inventati dalla sensibilità dell’artista;
diventa evidente che il momento di fecondazione da cui deriva la nascita dell’opera trova il suo punto d’innesto in un giusto equilibrio che lo distanzia in misura uguale e dal pericolo di diventare schema, segno, ideogramma che, sopprimendo la sostanza conoscitiva dell’immagine, si isterilirebbe nell’astrattismo.

Ben lontani quindi dall’interpretazione romantica dell’artista abbandonando all’ispirazione, per noi l’artista torna ad acquisire una fisionomia più precisa, più umana, quella cioè di operaio nel senso più nobile della parola, dotato di una tendenza che direi vitale a scoprire nelle cose della vita quotidiana misure ideali atte ad esprimere una verità in cui egli crede e che trasmette come messaggio all’umanità con la mediazione delle sue opere: questa è la sola giustificazione che ci consente di adoperare il termine “poesia” nei confronti dell’arte.

Il destino di poeta, la sua magia viene così a identificarsi con la sua attitudine a creare la condizione perché il canto si sostituisca insensibilmente alla fisicità delle cose e possa erompere in tutta la sua nativa purezza.

In questo senso il poeta può essere sé stesso nel senso di trascendenza che significa essere al di là di sé stessi, cioè teso a un divenire che non è mai distacco dal passato, ma “radicamento” come ebbe a scrivere Pèguy nella splendida strofa del Porche du Mystére dela Deuxieéme Vertus:

De bourgeons de fleur comme un beau pommier,
De bourgeons de feuilles, de bourgeons de branches.
De bourgeons de rameaux.
De boutons del fleur pour les fleurs et pour les fruits.
Toute bourgeonnante, toute boutonnante, une couronne a été faite mystérieuse.
Toute éternelle, toute en avance, toute gonflée de sève.
Toute embauméè, toute fraîche aux tempes, toute
tendre et embaumante.
Toute faite pour aujourd’hui, pour en avant, pour demain.
Pour éternellement, pour après-demain.
Toute faite de pointes menues, de point tendres,
de commencements de pointes.
Feuilles, feuries d’avance,
qui sont les pointes des bourgeons, tendres, fraîches,
et qui ont l’odeur et qui ont le goût de la feuille et de
la fleur.
Le goût de la pousse, le goût de la terre.
Le goût de l’arbre.
Et par avance le goût du fruit d’automme.

Charles Pèguy

Il  temporalmente eterno di cui parla Péguy diventa dunque l’oggetto proprio dell’arte che si differenzia dall’eternità delle verità astratte che sono estranee alla durata del tempo che, in ultima analisi, è vita.

Viene così a determinarsi nell’artista una concezione sacra del mondo, ben sicuro non intesa come una professione esplicita dell’artista di opinioni religiose o metafisiche o di qualsiasi altra natura, ma piuttosto nel senso inteso da Ramuz per esempio nell’ultima parte del “Journal” ( p. 388 ):

Continuare a essere stupiti; continuare ad essere nuovi, fino in fondo, dinnanzi a ciò che è nuovo; perché tutto è nuovo per colui che è nuovo; non credere all’abitudine, che è logorio, e logorio progressivo: e tutto diventa grigio e polveroso, tutto diventa simile a ciò che siamo, tutto si somiglia e tutto si ripete, perché noi ci somigliamo e ci ripetiamo. Bisognerebbe che l’uomo si aggiungesse al bambino, senza staccarsi da lui; che il bambino sussistesse all’interno dell’uomo; che egli fosse una base su cui costruire per aggiunte successive, senza distruggerla come avviene. Non bisogna essere soltanto primitivi, ma bisogna essere anche primitivi. Rimanere “primi” di fronte alle cose prime; elementari dinnanzi all’elementare; essere capaci, così, di divenire sempre, e non d’essere soltanto. Non immobili, ma in movimento, in mezzo a ciò che è mobile; in contatto incessante con ciò che si trasforma, trasformando se stessi; dediti totalmente all’esterno, come i fanciulli, ma con quel ritorno a se stessi che i fanciulli non hanno, e verso un interno in cui si raccoglie, in cui si ordina.

Charles-Ferdinand Ramuz

Una simile concezione penso sia la più atta a far sbocciare, come la definisce Gabriel Marcel “una nuova pietà di fronte alla vita”, che porta l’artista a far parte, e parte integrante, della società in cui vive, liberandolo dal dannoso isolamento in cui si è chiuso che, isterilendo l’uomo, ne isterilisce l’arte.

Così intesa la partecipazione dell’artista alla vita, incessantemente incalzato dall’esigenza di fare affiorare il segreto da un’esistenza ancora inarticolata per comporla in chiari modi di essere, mette luce sulla funzione della sua produzione che tende ad innestarsi in essa con una serie di opere che, ben lontane dall’avere un fine intrinseco e solo valido in se, diventano i simboli di un linguaggio tanto più valido in quanto i suoi rapporti con le verità eternamente determinatesi sono più aderenti.

In questo senso diventa possibile anche parlare di un rinnovamento dell’arte senza pretese di voler fare profezie se il potere di adesione dell’artista alla sua fede non si allenta o si perde in un egoistico individualismo, o per l’avvilimento dovuto a interessi estranei alla natura della sua funzione. E’ questo potere che ha formato l’artista in tutti i tempi; esso è ad esempio la ragione d’essere di tutta l’arte religiosa, grazie ad esso la bellezza fu serva del Rinascimento e divenne il mezzo di accesso al mondo; né l’arte moderna ignora questa procedura per cui arte e creazione si confondono.

L’arte diventa, così intesa, problema, mistero forse, certo realtà; creazione che porta con se la sua grandezza enigmatica come tutto ciò in cui l’uomo trascende infinitamente se stesso, rivelando ciò che gli uomini hanno sentito dormire in se stessi.

In questo senso acquista tutto un particolare significato la tradizione liberata finalmente dalle forme storiche e valida soltanto come potenza formatrice, potenza che segna tutto ciò che sulla terra si chiama umano. L’attualità delle opere che ci ha tramandato la tradizione si rivela in quello che posseggono di affinità che non è se non la loro presenza per cui il leone di Combarelles si apparenta alle parche di Fidia, ai gotici, a Michelangelo e, per uno scultore, a tutta la grande scultura. La tradizione ci appare così in tutta la sua ossessionante unità e ci permette di cogliere l’aspetto essenziale delle grandi opere del passato in cui la realtà ha mutato natura, è diventata forma mirando a diventare rivelazione per sradicare, in chi le ascolta, la sua parte segreta.

E’ dalla tradizione così intensa che l’artista del nostro tempo può trarre conforto per esprimere oggi opere che abbiano validità nel domani risolvendosi in esse come artista e uomo.

Gino Cosentino

Testo introduttivo dell’autore tratto da “COSENTINO DISEGNI E SCULTURE”CARLO BESTETTI – EDIZIONI D’ARTE  – 1956 ROMA